Quando lo conobbi ero molto giovane. Lui, all’epoca, aveva passato i
cinqunt’anni. Piccolo e tondo, severo e forse burbero, con labbra
carnose, bella dentatura, voce maschile e interessante.
Nel corso degli anni ebbi modo di stimarlo come persona anche se, come
dalla prima impressione, mi trasmetteva soggezione.
Corretto e generoso, aveva distribuito parte dei suoi risparmi agli
unici due nipoti, facendo sempre presente ai propri figli di contare su
di Lui per qualsiasi necessità.
Rispecchiando la propria personalità aveva condotto una vita modesta e
dignitosa dividendosi tra il lavoro e la famiglia. Rimasto solo, nella
grande casa, aveva “volato” per ben due volte in Africa, rimanendoci per
un lungo periodo .
Trascorreva l’estate in una cittadina marina respirando il salmastro a
piedi nudi e in pantaloni corti. Di carnagione scura, al rientro in
città assomigliava molto ad un vecchio marinaio o ad un maestro di sci a
riposo, dato che il fisico era sempre tondeggiante anche se perennemente
a dieta.
Per lunghi anni aveva assistito la moglie malata, senza mai lamentarsi,
indossando le vesti d’infermiere con amore e con quella rigidità morale
e senso del dovere fino a raggiungere la professionalità.
Invecchiando si era addolcito, maturando un certo umorismo da renderlo
buffo e piacevole. Di tanto in tanto spuntava quell’autorità che lo
caratterizzava, ma poi sorrideva e faceva tenerezza. Il crollo fu
improvviso, veloce, iniziò dall’organo che più di ogni altro era stato
attivo: la testa. Era riuscito a sopravvivere alla guerra, alla
prigionia, perfino al cancro e all’infarto, ma non all’invecchiamento
della mente.
Accettò di buon grado “l’ospite a tempo indeterminato” dentro casa.
Negli ultimi quindici anni, dopo la morte della moglie, aveva vissuto da
solo in quella casa grande, perfettamente a suo agio, ordinato e
prolisso come lo era la sua persona.
Questa nuova presenza lo confortava, ma alcune volte, a causa della
malattia, non riconosceva questa signora che “viaggiava” in casa sua,
spostando le sue cose, aprendo i suoi armai e cassetti, allora, di nuovo
tornava burbero minacciando di chiamare i carabinieri.
Un passato molto lontano era il presente. Ragazzo con i suoi fratelli
cercava la propria bicicletta. Raccontava di essere appena rientrato dal
bar vicino dove aveva partecipato ad una vivace partita a carte in
compagnia di persone ormai da tempo non più presenti in questa terra. Si
domandava chi avesse messo in ordine le stanze da quel trasloco appena
terminato, rammaricandosi per non conoscere la persona a cui essere
grato per tutto ciò. La scuola doveva avere avuto un ruolo importante
nella sua vita, tanto da essere preoccupato per i compiti da fare e per
la stima verso il maestro.
Quando, sono andata a trovarlo mi ha sempre riconosciuta, almeno appena
entrata, regalandomi un sorriso d’intesa, ma poi penetrava nelle stanze
delle sua mente, le più lontane, diventando irritabile e preoccupato per
il ritardo a cui andava incontro ad una cena importante. Una volta mi ha
pure detto, cercando di alzarsi dalla sua sedia:
- devo andare via -
- e dove? -
- dal Padre Eterno -
Ma io non credo che lo pensasse veramente, perchè ridendo ha aggiunto -
“ma quando si mangia?”
Sandra Carresi - Firenze 2007 |